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Ava's Possessions (2015)

By Simone Corà | mercoledì 30 marzo 2016 | 00:01

Pensi di avere un problema con i demoni? Chiamaci subito.                                      

Siamo ancora qui a parlare di possessioni demoniache, è il 2016 e sembra non esserci alcun freno ai vari Exorcism of e Possession of, scacciare il Caprone dai corpi di innocenti fanciulle sta diventando sempre più la nuova moda e si candida a next hate thing dopo vampiri e zombi. Sì, è un modello facile da copiare e quindi si azzerano tempi di scrittura e lavorazione, basta poco per mettere insieme novanta minuti, pare che i distributori facciano a cazzotti pur di lanciarli modello frisbee, ma all’appiattire e all’annientare che tutti seguono senza pensieri c’è invece sempre qualcuno che reagisce in maniera brillante screditando i colleghi copioni con gli stessi ingredienti.
L’idea è quella di cominciare dove di solito si finisce, in questo piacevole brulicare d’horror degli ultimi tempi è spunto già adoperato (molto bene, sia in Blue Ruin che in Bound to Vengeance), ma è ancora materia così fresca e appetitosa da poter essere modellata con gran dispendio di trovate.
Quindi Ava è sopravvissuta alla possessione di un demone e ora deve fare i conti con i danni combinati durante il periodo di convalescenza infernale: la casa distrutta, vandalismo sfrenato all’esterno, violenza incontrollata, una libertà sessuale senza limiti, forse addirittura un omicidio.

In caso di esorcismo con esito positivo, la prassi non è mica semplice da affrontare: l’unica soluzione è quella di partecipare agli incontri degli impossessati anonimi e cercare di allontanare le tentazioni demoniache. Altrimenti c’è la galera, mica cazzi.
È vero, sembra una situazione grossolana dove la comicità dilaga senza troppe misure e con molte poche risate, soprattutto l’elemento degli A.A. in versione 666 rischia di superare subito il limite del perdonabile e invece è incastrato con una compostezza che fixa qualsiasi dubbio prima di poter storcere il naso.

Ava’s Possessions, pur avendo un’andatura da commedia, con un’atmosfera a tratti leggera e simpatica, poggia infatti  le basi su una struttura sofisticata, fortemente e squisitamente horror, dove le risate sono solo una conseguenza dello scenario disegnato.
Siamo infatti in un mondo dove gli esorcismi sono comuni e trattati alla stregua di una dipendenza, i demoni esistono e si interscambiano spesso con il nostro piano reale, sono parte della società nei vari aspetti che li compongono e questo comporta un microcosmo di effetti collaterali che va dall’accettazione dei problemi causati da chi ospita un demone al mercato illegale di magia nera, ma tutto questo non ha alcuna accezione comica ed è invece trattato con un carattere ben preciso, compatto e stabile (basti pensare alla rigida classificazione delle cerchie infernali o alla mitologia propria sulle invocazioni) nonostante le numerose stramberie e il tono da fumetto sopra le righe (su tutte l’amuleto che richiama il demonio).
Far ridere senza nulla togliere alla fierezza horror non è cosa semplice, ma Jordan Galland gestisce bene l’equilibrio e l’umorismo è dosato con sprazzi eleganti, gentili, appena accennati (non ho visto gli altri suoi film ma sembrano muoversi sulle stesse coordinate, dev’essere quindi stile che sta costruendo di anno in anno), la sua è una ricerca di un sorriso con cui sottolineare da una parte l’esasperazione di Ava nel ricostruire la sua vita post-possessione (i colloqui con gli altri ex-indemoniati, le fisse dei genitori), e dall’altra l’assurdità di questo scenario, accentuato da un’esigenza fotografica meravigliosa nelle sue esplosioni di colori accesi e nostalgici (giallo, viola e rosso a gogo), e da uno stile visivo molto interessante, fatto di inquadrature sbilenche e zoomate improvvise.


È una storia costruita con cura, Ava piano piano rimette assieme i pezzi e inizia a formare un puzzle che la sbanda verso luoghi che, prima della possessione, non avrebbe mai pensato di frequentare: ne nasce una sorta di giallo scintillante e fantasioso con tanto di omicidi da risolvere e personaggi misteriosi di cui svelare i piani, arricchito da dialoghi ficcanti, sempre puntuali, delimitati da un ritmo veloce che detta tempi perfetti e ne impedisce qualsiasi eccesso lessicale.
C’è spazio anche per qualche twist, sono bei lustrini sui caratteri semiseri in linea con i toni del film ai quali ci si affeziona subito, a partire da Ava, che pare ragazzetta sprovveduta e ingenuotta e invece è manager discografica con personalità ed energia realmente dispersa in una confusione che le annebbia ogni cosa.
Corona il tutto una tra le migliori OST nostalgiche di questi ultimi tempi, preparata con un sentimento passato senza che però questo ne prenda il sopravvento, tanti i synth come è recente tradizione ma parecchi anche gli interventi di chitarra che creano un clima abbastanza unico.

Piccola chicca, una commedia horror o forse, meglio, un horror con molta ironia che non sempre si può rintracciare nella sena con simili connotati di gusto e classe.

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