The Pack (2015)

By Simone Corà | lunedì 15 febbraio 2016 | 10:39

Dall’Australia con istinto omicida, il migliore amico dell’uomo cerca vendetta                   

Dovrei recuperare l’originale del 1977 per avere una vera idea complessiva di cosa possa significare questo piccolo e rabbioso progetto, ma alzo le mani perché di tutti i buoni propositi horror che mi possa prefissare poi non ho grande abilità nel rispettare i tempi, e finirei così per guardarlo in tempo per un nuovo reboot o restart o altri re- che vanno tanto di moda.
Un po’ mi spiace perché la lacune si accumulano invece di diminuire e mi rendo amaramente conto che certi crateri non verranno mai colmati, ma dall’altro lato la purezza di un film come questo The Pack è molto più potente ed efficace se nulla si sa della storia, proprio perché la base è così elementare e schietta che si deve necessariamente concentrarsi su altro per alimentare la narrazione.
Abbiamo infatti una famiglia che abita ai margini della foresta e un branco di cani selvaggi, al resto pensa un ambiente ostile come i margini della civiltà australiana, ed è quindi fondamentale che questi tre perni, con un’ovvia attenzione maggiore per il primo, siano modellati e oliati in modo da essere indispensabili al funzionamento del meccanismo centrale.

Evan Randall Green e Nick Robertson non possiedono ancora curriculum sostanziosi (anzi, non ce l'hanno proprio, esordio assoluto) ma conoscono i fondamentali teorici, e sanno quindi che l’orrore peggio con cui si possa avere a che fare è quello che piomba improvviso nel quotidiano, distruggendo quelle certezze su cui si cerca di costruire una vita, un orrore che non si può combattere perché alieno e fortuito, contro il quale non si può essere preparati, un orrore che non per forza debba rispondere a canoni soprannaturali per ovviare agli slogan peggiori del genere. Non abbiamo bisogno di sapere che l’orrore più bastardo è quello che può insidiarsi nella realtà, abbiamo bisogno di vederlo, e in The Pack, anche senza ricorrere a mostri lovecraftiani o a carnografie barkeriane, si può assistere a un ottimo show di quegli ingranaggi che disfano, paralizzano e spingono a reagire: ansia e tensione.
Il branco di cani è espediente classico ma valido, rispetto ai lupi affrontati da Liam Neeson in The Grey qui si abbonda su un’atmosfera più feroce e sanguigna che inquadra il film nel nostro genere preferito, le meccaniche in fondo sono quelle tipiche dell’isolamento e dell’assedio, e al resto pensa una buona componente emoglobonica sottolineata dai numerosi sbranamenti canini, che non hanno paura di niente e nessuno a mirano volentieri alla giugulare di parecchi poveracci.
Scene di enorme agonia come il girovagare del cane tra le stanze o l’attesa del momento opportuno per fiondarsi nel camioncino scavalcano però altri momenti validi ma più canonici (fughe, urla, smembramenti… same old stuff) e mostrano una direzione narrativa molto più sottile e interessante di una grossolanità che era forse più facile aspettarsi.


Ma sarebbe sbagliato pensarla così considerando la vera forza del film e il modo in cui viene mostrata, perché nella lunga prima parte, intervallata ovviamente dalle incursioni bestiali del branco fuori controllo, la semplicità con cui conosciamo la famiglia Wilson è di quelle da ricordare a lungo: i motivi che causano i problemi che dovranno essere risolti per poter superare quello ben più grosso dei cani randagi sono sempre i soliti, ma è molto più avvincente del solito scoprire le difficoltà economiche causate dalla loro scelta di vita, e i contrasti interni con i figli che appaiono concreti e credibili con strilla e insulti che l’adolescenza favorisce con piacere.      
Con queste credenziali è quindi più naturale soffrire le loro sofferenze ed esultare per le loro vittorie, l’immedesimazione è totale e il gioco funziona alla grande anche se le pretese sono poche e anche se gli input rimangono comunque di comoda consistenza.

Alla fine si potrebbe vedere The Pack come un Honeymoon molto limitato nelle ambizioni psicologiche e nello studio dei personaggi, i procedimenti sono simili più negli intenti che nelle dinamiche vere e proprie e c’è molta più attenzione al lato umano rispetto a quello horror, ma quando quest’ultimo esplode a risaltare è tutto ciò che è stato presentato prima, ed è questo l’importante.  

0 commenti:

Posta un commento