Bone Tomahawk (2015)

By Simone Corà | martedì 24 novembre 2015 | 00:05

Caro Eli Roth… questo è un film sui cannibali!                                                                

Un film come Bone Tomahawk sembra arrivare senza definizioni di spazio e tempo. Prodotto estremamente anomalo, si nutre dei silenzi e della polvere che evoca nelle immagini, per gran parte della sua non indifferente durata (per un horror due ore e quindici potrebbero sfidare pazienza e sopportazione di molti) è un vero e proprio western senza macchia dove i veri uomini di una volta si armano per debellare la minaccia nemica.
A giudicare dagli attori coinvolti, con un ritrovato Kurt Russell in un ruolo roccioso e carismatico come gli si addice, un Patrick Wilson che pare essere a suo agio nel recente cinema del terrore, e un Mattew Fox micidiale che fa subito dimenticare il tremendo e insopportabile Extinction, era lecita una seduzione a base di una struttura corposa e possente per un film all’apparenza ben stipendiato.
In realtà l’esordio di S. Craig Zahler, già sceneggiatore dell’ottimo Blackout Asylum, è un lavoro scarno, essenziale, molto povero, lo scenario è costituito prevalentemente dal deserto e dalla caverna dei cannibali, anche la città iniziale è pressoché vuota: il poker di volti graffiati alla ricerca della bella rapita dai bruti è a conti fatti un unico protagonista che avanza e combatte contro il vento per quasi due ore, solo sofferenza, dubbi, paure e battute acide ad accompagnarli perché neanche la musica, relegata a un accenno d’archi di pochi secondi, fa parte del progetto complessivo.

Avere quindi a che fare con un film che carica la propria lentezza, la accumula per poi ridistribuirla attraverso singole scene, episodi che poco hanno a che vedere con la minaccia horror inseguito ma che da essa sono scatenate, è per certi versi impegnativo, ma è un impegno ben ripagato.
I singoli episodi sono momenti preziosi e che di rado si vedono nel cinema di genere, spendere così tanti minuti per dialoghi, riflessioni e battute che sfiorano soltanto la trama principale, è potenziale suicidio ma Zahler costruisce l’intero film di questi segmenti fiume portando avanti un’idea narrativa che non ha rivali nel genere odierno: prima della grande carneficina finale e dello scoppio dell’azione, la caccia messa in piedi dallo sceriffo per salvare Samantha è solo pretesto, è un cavillo per chiamare all’azione quattro splendidi personaggi e farli interagire di fronte all’orrore che presto dovranno affrontare.
Immaginate una linea retta semplice semplice continuamente interrotta da bivi enormi, parentesi che danno spazio pressoché illimitato ai protagonisti e ai loro pensieri: il ritmo viene annullato – complici i paesaggi aridi e la totale assenza di OST che amplificano rumori (zoccoli, sospiri, colpi di pistola) e soprattutto silenzi, ogni ruga, ogni colpo di tosse, ogni alzata di cappello sembra possedere una tridimensionalità che simili dettagli solitamente non hanno. Sono elementi che assegnano a ogni singola figura una grande personalità, successivamente esplorata in ogni sosta narrativa.
Passaggi meravigliosi come la prima notte passata all’aperto o l’assalto dei messicani sono trampolini per dialoghi sporchi, pregni di un’ironia ficcante ma figlia dell’ignoranza tipica del west: pregiudizi, arroganze e musi duri colorano le nottate dei quattro cowboy e fanno dimenticare del loro impegno principale, è in fondo così brillante il loro sfoggio di caratteri (dalla superbia di Brooder alla testardaggine di O’Dwyer, con un premio per l’umile incompetenza di Chicory) che il film non avrebbe bisogno di altro.


Chiaro che a simili condizioni non tutto il pubblico può scendere a patti, più facile siano gli amanti del western a trovare pane per i propri denti rispetto ai seguaci dell’horror, nonostante le grandi esplosioni di violenza nella parte conclusiva: i tempi sono così dilatati e rarefatti, costruiti soltanto su muri di parole, che superare indenni i primi cento minuti e raggiungere la battaglia conclusiva potrebbe essere molto più difficile del previsto, ma siamo di fronte a un film importante nell’anomalia con cui affronta l’horror, e negarsi il potentissimo innesto cannibalico degli ultimi venti minuti sarebbe peccato imperdonabile.
La tribù di selvaggi che rapisce la bella Samantha per sopperire al torto subito nel prologo (con un sempre mitico e sporchissimo Sid Haig) ha ben poco da spartire con, visto l’esempio recente, i pallidi cannibali di The Green Inferno: qui non c’è spazio per stupidaggini e comicità involontaria, si tratta di veri e propri mostri con una personale linea evolutiva identificata nel fischietto osseo tracheale, quando agiscono sono spietati e fanno paura, e quando azionano la lama evitano stupidi ammiccamenti sanguinari mostrando solo pura violenza, pura brutalità, pura crudeltà.
Una scena come il primo squartamento sarà difficile da dimenticare, ma anche lo scherzetto metallico con cui i cannibali si divertono possiede una ferocia perfettamente inserita nel contesto, e se il sangue a tratti latita per colpa della polvera sparsa dai corpi colpiti rimangono molto più impresse la fatica e la paura, ma anche la tenacia, con cui i nostri eroi soccombono alla furia cannibale.

Bone Tomahwak è un film maschile, il machismo cowboy è esplorato in vari aspetti ma non schiaccia comunque un piccola presenza femminile: Lili Simmons si spoglia molto meno del solito e in compenso offre una prestazione parecchio più decisa e convincente, è infatti una donna ben salda sulle proprie posizioni e che non accetta la debolezza femminile del tempo.
Come capita spesso in casi simili, alla fine gli uomini ne escono indeboliti dalla maturità espressa dalla donna, dietro ai fisici e ai grugni c’è molta poca praticità e se qualcuno riesce a campare fino in fondo è merito anche delle parole di Samantha, e questa è un’aggiunta di gran valore a un’opera unica che non ha nel mischiare western e horror il suo apice, ma che in una narrazione atipica e mostruosamente lenta nasconde una profondità e una capacità di costruire grandi personaggi che nel cinema del terrore non sempre si ha la fortuna di incontrare..   

16 commenti:

  1. Mi hai convinta, lo recupero immantinente!!!

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    1. Ma se ne hanno già parlato tutti, vuoi dirmi che non l'hai ancora visto? ;-)

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    2. Assolutamente sì! Nel recuperare film ho la lentezza di un bradipo e poi i western non sono proprio il mio campo ma le sfumature horror mi paiono valide :)

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    3. Eh, ma credo che qui conti poco la sua appartenenza a un genere, il western, con cui da queste parti non molti hanno a che fare. E' un horror talmente anomale e diverso da quello che c'è in giro che una visione la merita a priori. :)

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  2. Visto di recente, una vera bomba.
    Scarno, duro, lento ma inesorabilmente ipnotico.
    Ne parlerò a breve.

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    1. Ipnotico, termine perfetto. Ritmi pacati e atmosfera durissima ne fanno poi qualcosa di davvero particolare :)

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  3. Ok, da recuperare anche questo a quanto pare, nonostante film del genere non siano propriamente nelle mie corde

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    1. Posso immaginare, anch'io non sono un grande amante dei western, ma qui tutto gira alla perfezione e credo che sia un film che va visto comunque :)

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    2. Più che problemi con il western ho problemi con tutti i film in costume (perché per me i western rimarranno sempre in costume, anche se ambientati nell'epoca contemporanea) e devo ammettere che per questa "fobia" mi perdo molti film belli o bellissimi!

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    3. Ti capisco, io per dirti ho problemi con qualsiasi film dove ci siano soldati di quest'ultima generazione, non riesco proprio a guardarli, cose come gli ultimi film della Bigelow o certa fantascienza militare sono per me sono indigeribili

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    4. Naaaaa, e quindi starship troopers non ti garba?
      ;)

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    5. Mi spiego meglio. Per quest'ultima generazione intendo l'idealizzazione culturale che, anche involontariamente, esce da certo cinema USA: non riesco a difendere in alcun modo l'apparato militare di questi ultimi anni e guardare un film che lo rappresenta, magari anche cercando di approfondirlo, perché no, mi sembra però punti comunque a dare un qualche valore a una figura (e conseguenti modelli di pensiero) che non mi appartiene in alcun modo.

      Uno Zero Dark Thirty, per esempio, mi lascia del tutto indifferente, perché a un ovvio apparato tecnico eccellente c'è una sostanza concettuale con cui io non ho nulla da spartire. Cose come American Sniper le ho saltate a priori.

      La sci-fi militare invece, boh, dipende da quanto viene calcata la mano sugli aspetti valorosi dei militari.

      Comunque Starship Troopers lo adoro per il carattere grottesco e satirico, il libro boh, letto troppi anni fa, non ho alcun ricordo. :)

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  4. Da amante del western ho particolarmente apprezzato i primi 90 minuti, ma è con gli ultimi 20 che ho goduto come un riccio. Ottimo gore, bei personaggi e paesaggi...io sto a posto così!
    Dai extinction non era così male, il personaggio di Fox e l'ambientazione erano parecchio fighe, il resto un po' meno...
    Complimenti come sempre per la rece!

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    1. Anch'io sono rimasto paralizzato dalla bellezza della lunghissima prima parte, tutti quei dialoghi, tutta quell'introspezione, veramente magnifica. Poi, sì, l'esplosione finale è fantastica e non te la aspetti in tutta questa potenza. :)

      Su Extinction, boh, a leggere in giro è piaciuto a molti, ma per me di una retorica e di una banalità insopportabili...

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  5. Il frame appena suggerito in chiusura delle madri cieche ed amputate mi ha tolto il sonno. Notevole!

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    1. Vero, scena tremenda e terribile proprio perché dura pochi istanti, te le mette lì, senza domande, senza discorsi, vero shock :)

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