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Space, time & lacrimoni #1: The Day of the Doctor (2013)

By Simone Corà | giovedì 28 novembre 2013 | 08:00


Nonostante una settima stagione fallimentare, spenta e spesso noiosa, rimane abbastanza indiscutibile l’enormità e la complessità del progetto che Steven Moffat sta creando da quando è diventato showrunner di Doctor Who: un universo vasto, dettagliato, bizzarro e, a quanto sembra, estremamente ben organizzato, perché, sebbene permanga una sorta di comprensibile gommosità nel voler mettere insieme ogni maledettissima cosa di cinquant’anni di vita, è difficile non rimanere piacevolmente stupiti di fronte al disegno a mosaico che non solo compone The Day of the Doctor, ma che diventa a sua volta tassello strambo, densissimo e ammirevole di una continuity impossibile e sinceramente incredibile.      

Conosco poco o nulla della vita del Dottore pre-2005, ma ciò non intacca la comprensibilità e una certa commozione che Moffat ha saputo scrivere strizzando l’occhio a fan vecchi e nuovi: lo specialone per il cinquantennale (ben 75 minuti di durata) non è di certo quella puntata epocale che ci si poteva aspettare, ma a fronte di una stagione davvero brutta e scolorita è comunque storia intricata e piena di pathos, sostanzialmente scritta in maniera magistrale ma priva di una certa epicità che, al di là della ricorrenza storica, manca ormai da tantino. Certo, ormai siamo distanti dalle atmosfere drammatiche di Davies, e penso sarebbe inutile continuare a rievocarle nostalgicamente se solo fosse rimasta inalterata la qualità generale della serie: il Dottore secondo Moffat è matto, illogico e protagonista di storie divertenti e per certi versi leggere, molto complesse da un punto di vista strutturale ma più deboli da uno invece più emozionale, chiaro quindi che The Day of the Doctor segue questa strada, aprendosi a una trama molto spassosa e parecchio articolata nei suoi salti mortali narrativi, ma che pecca laddove diventava necessario premere un po’ più sul dramma e sulla raffigurazione dei nemici. D’altro canto, pensando a quello che scriveva Moffat una volta (EMPTY CHILD! SILENCE IN THE LIBRARY! BLINK! LET’S KILL HITLER!) e quello che invece scrive adesso, si nota una differenza di sostanza non indifferente, ed è comprensibile una certa amarezza, ma considerando per un attimo la trama orizzontale che ha messo in piedi c’è comunque da rimanere ampiamente soddisfatti. 

Diamo la colpa di un amaro disequilibrio magari anche alla presenza di DAVID TENNANT, che viene ottimizzato magistralmente nel confronto con Matt Smith e con i dottori passati, tutti simbolicamente incarnati da un bravo John Hurt, ma che pur innescando lacrimoni enormi con certa gestualità e leggendaria parlata, porta inevitabilmente a fare confronti con il passato che oggigiorno sono qualitativamente impossibili. The Day of the Doctor è infatti un perfetto esempio di quello che è Doctor Who adesso, qualcosa quindi di molto particolare da un punto di vista narrativo, ricco di umorismo strampalato e mitragliato e invenzioni con incastri micidiali (qui, per esempio, il fez che travalica spazio e tempo, o il piano per distruggere l’invasione Dalek, e naturalmente la scoperta di come ogni singola cosa creata a partire dalla stagione cinque venga messa in continuity), ma che forse non riuscirà mai più a rievocare certe atmosfere con lo stesso lirismo drammatico e quella commovente epicità che solo Tennant e Davies avevano dato a Doctor Who. Se solo Moffat riuscisse a mantenere un controllo narrativo anche laddove non c’è la sua mano a curare le sceneggiature, la serie potrebbe tornare ai suoi massimi splendori, ma finché sarà sempre e solo lui a sfoderare le cosiddette puntate belle, diventa necessario sperare in un cambio davvero, davvero radicale quando Peter Capaldi sostituirà (lacrimuccia) Matt Smith.

9 commenti:

  1. Sono d'accordo essenzialmente con te ma non quando scendi nei particolari. Non ho trovato fallimentare l'ultima stagione, anzi. Moffat non ha mai voluto mantenere il lirismo del decimo e per me l'undicesimo è il miglior dottore di sempre. Ma alla fin fine è questo il bello di Doctor Who: in non mettere e, allo stesso tempo, mettere d'accordo tutti.

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    1. Guarda, io adoro Matt Smith, così come adoro il modo in cui sono cambiate le atmosfere, i tipi di narrazione e l'ironia, ma se la stagione cinque mi è piaciuta un sacco e la sesta aveva un 8-9 puntate BELLISSIME che distruggevano una certa povertà/banalità delle altre, della settima salvo boh il primo e l'ultimo episodio, il resto mi è sembrato tutto superficiale e noioso, e anche gli episodi scritti da Moffat non mi sono parsi granché (l'addio dei Ponds, per esempio, non è stato per nulla commovente come mi aspettavo). :)

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    2. Beh, l'addio dei Ponds non regge i due addi a Rose, quello a Donna e quello a Martha :D ma Tennant è stato il Dottore romantico, ci può stare. Moffat è molto più bravo a distruggere che a creare, forse, secondo me... ma ha creato un Dottore iconico.

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    3. Mah, non so, voglio dire, Moffat ha creato bellissimi momenti con i Ponds, e a ripensarci mi commuovo sempre (non so, solo l'esempio di Rory che aspetta millenni per riabbracciare Amy), solo che il modo in cui li ha abbandonati... boh...

      O forse sarà perché Clara non è che mi stia poi così simpatica, il personaggio sulla carta è stratosferico, ma poi nelle varie puntate non è granché e sostanzialmente non fa nulla...

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  2. In questa settima stagione non sono riuscito ad entrare in sintonia con la nuova compagna Clara e forse per questo considero un po' sottotono le ultime puntate (ancora vivo il dolore per la perdita di Amelia e Rory che amavo profondamente).
    Questo speciale è stata una sorpresa, divertente e geniale. Spero che Peter Capaldi sia abbastanza cazzuto perché io adoro Matt Smith e non perdonerei mai a Moffat questa scelta, in caso contrario.
    L'unica cosa che mi lascia perplesso è questo inserimento di John Hurt tra l'ottavo e il nono Dottore... vogliono arrivare alla fine della serie, con le 13 incarnazioni, così "presto"?!

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    1. Credo invece l'abbia fatto appositamente, proprio perché vuole in qualche modo "ripartire" con il conteggio :)

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  3. grande speciale non c'è che dire e sì risolleva una settima stagione un po' sottotono che si è troppe volte ingabugliata su sé stessa.
    io con l'entrata di Capaldi sto sperando invano un dottore volgarissimo :D

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  4. Mi dispiace commentare un po' ritardi perché la recensione meritava un commento più pronto, essendo io pienamente in linea col tuo pensiero. Sono qui di passaggio e da 2 mesi cercavo di capire il motivo per cui io, per certi versi ho trovato deludente questo speciale. Io sono legata allo stile RTD e cerco impatto emozionale ed epicità. Mi spiegavo la mancanza di queste cose nello speciale dicendo che Ten come personaggio non è stato nello speciale, lo stesso che conoscevamo nelle proprie stagioni, ma tutte le volte che ho provato a dirlo, mi è stato detto che non era così. Tu hai espresso meglio il concetto, non bastava la presenza di Tennant per portare "lo stesso lirismo drammatico e quella commovente epicità che solo Tennant e Davies avevano dato a Doctor Who" come hai scritto. Io speravo che il personaggio di Ten avrebbe riportato in vita il dramma alla RTD nelle scene dedicate al Decimo. Speravo anche che la guerra del tempo sarebbe stata un tantino più descritta e che fosse descritto maggiormente anche il Warrior (mi ricordo la profondità psicologica del Master di The End of Time, non per dire che il warrior doveva essere cattivo come il master, ma per dire che avrebbe potuto avere più profondità in quanto unica personalità warrior tra tutti i volti del dottore), mentre ciò che si è vista è stata essenzialmente la sua redenzione, appiattendo il warrior a Dottore come gli altri. Non sto dicendo che lo speciale non abbia punti di forza, sono d'accordo anche con tutto ciò che di positivo hai scritto sullo speciale. E' inutile continuare a fare i nostalgici, Doctor Who cambia ed ogni autore ha il proprio stile.

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