Nymph

2009, Thailandia, colore, 109 minuti
Regia: Pen-Ek Retanaruang
Sceneggiatura: Pen-Ek Retanaruang

Nop e May sono una coppia in crisi. Ormai distanti l’uno dall’altra, con lei che lo tradisce con un collega di lavoro e con lui freddo e impenetrabile, decidono comunque, più per abitudine che per altro, di concedersi un week-end tra i boschi. Di notte, però, Nop scompare, e May rischierà di impazzire per ritrovarlo.

Un piano sequenza iniziale, lungo quasi dieci minuti, in cui si vedono soltanto boschi, alberi e fogliame, come se lo spettatore stesse godendosi un rilassante viaggio immaginario nella natura, non pone dubbi su quali possano essere le coordinate della pellicola di Pen-Ek Retanaurang.

Un film rarefatto, costruito attorno a una storia dilatata per mezzo di mille e più silenzi, che spesso si sostituiscono totalmente ai pochi dialoghi recitati, e queste sono caratteristiche che rischiano, per via di un certo tocco d’autore, di rendere l’opera indigesta, incompiuta e distaccata.

Perché Retanaurang non fornisce risposte, né propriamente domande, ma si limita a suggerire, sfiorare, ammiccare ad alcune soluzioni orrorifiche e non, spunti di poesia macabra e inaccessibile che si possono comprendere, anche se non è certo questo il termine corretto, soltanto lasciandosi andare alle atmosfere apparentemente pacate della pellicola e abbandonandosi al lento, lentissimo incedere ritmico.

Personaggi negativi, figli di un certo pessimismo, che reagiscono a un orrore che le loro menti e i loro spiriti non possono afferrare, un orrore che esiste e poi non esiste, un orrore semplice, a tratti elementare, che però scombussola le poche certezze e porta solo a una crisi interiore/esteriore sempre maggiore.

Difficile avvicinarsi a Nymph e difficile limitarsi a riassumere il tutto in termini canonici di apprezzamento o meno. A suo modo, un’esperienza interessante da affrontare, ma munitevi di zucchero per arginare un possibile amaro in bocca.

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