Una gran sorpresa thai, tra nuotate, omicidi e cari, vecchi fantasmi vendicativi
Ho sempre inquadrato i thailandesi come
gli eterni secondi del terrore, quelli che arrivano sempre dopo, un poco in
affanno, magari stupendo con qualche slancio improvviso che ti strappa il
miglior tifo della vita ma con il quale consumano tutte le risorse a
disposizione. Non che pecchino di idee o spunti realizzativi, qualcosa nei vari
Art of the Devil o nelle ultime opere
di Banjong Pisanthanakun (scritto a memoria, giuro), per non parlare del Nymph di Ratanaruang, emerge con
fortissima personalità, ma la truculenta, l’ironia o l’autorialità non sono le
strade migliori, o meglio, non sono le più sincere per plasmare quel tipico
horror psicologico che da millenni inseguono, zoppicando sotto la pressione di
sceneggiature ancora troppo acerbe per superare i cugini giapponesi e certe
parentesi di Corea e Hong Kong pur di agguantare quell’idea di orrore popolare
e folkloristico che in fondo hanno sempre dimostrato di avere.
Per fortuna c’è chi riesce a crescere e a
staccarsi da una certa mediocrità generale, l’esperienza in fondo nasce anche
seminando errori, e Sokon Sukdapisit è un bell’esempio di come possa evolversi
il cinema dell’orrore thai: sceneggiatore e regista di pura immondizia come Coming Soon, che pescava il peggio del
j-horror sperando che nessuno se ne accorgesse, pare impossibile che per una
penna così grossolana possa esistere un simile salto di qualità, quasi non
fosse la stessa persona dietro a un’opera complessa e sfaccettata come The Swimmers. Certo, Sukdapisit alla
creazione del thai-horror moderno in parte ha contribuito pure lui (Shutter ha dato il via a tutto e la
sceneggiatura porta anche la sua firma), e magari un po’ d’orgoglio nel
ripigliarsi qualche riconoscimento era anche comprensibile, ma tanta bontà non
pensavo potesse arrivare in questo preciso momento di copiature e carenze di
idee.
Un triangolo amoroso tra ragazzi è infatti
materia estremamente delicata, nel gestire l’imprevedibilità adolescenziale c’è
sempre il rischio di appiattire tutto, è un periodo che vive di spigoli e
smussarli per applicarci comodamente una storia di fantasmi impedisce di sottolineare
i momenti più difficili, ma Sukdapisit è così delicato e onesto nel costruire
questi tre ragazzini che pare faticoso accettare la minor importanza della
classica visività grezza e strambamente bombastica, qui sostituita da un
crescendo narrativo sottile e d’acciaio.
La morte della ragazza, fidanzata di uno e
sogno irraggiungibile dell’altro, è quella carta che regge il castello,
toglietela e crolla tutto, e infatti dalla piscina che i tre frequentavano per
l’allenamento quotidiano sgorgano paure, pensieri, sospetti e tradimenti che si
infittiscono sino a una comprensibile quanto lucida follia: realtà e fantasia
si sottraggono e vicenda, le ossessioni vengono a galla e soffocano il povero
Perth, incapace di distinguere quello che gli sta attorno da quello che vomita
la sua mente.
Dalla tradizione thai di fantasmi e
apparizioni permane quella parte più debole e accessoria del film, Sukdapisit
fa ricorso molto spesso a rapidissime scene spooky che, se da un lato si
distinguono dalla massa per l’ottima costruzione, dall’altro soffrono di un
accompagnamento sonoro purtroppo insopportabile: gli archi che strillano e le
sottolineature solenni provengono da una visione dell’orrore vecchia di almeno
dieci anni, ma se è giusto sperare che prima o poi Sukdapisit se ne accorga
intanto ci si accontenta della cruenta visione complessiva, che non ruba niente
all’occhio più goloso e regala ottimi momenti tra corpi impiccati, feti
ripugnanti e cadaveri marci. Si potrebbe dire che, con uno scenario così
fradicio d’acqua, è già molto non avere una palese Sadako con i capelli sugli
occhi, ma in realtà l’architettura delle sequenze nasce da matite e righelli
che conoscono le misure alla perfezione e The
Swimmers ha un bel grappolo di situazioni non facili da scordare anche
senza ricorrere a comodi spargimenti di sangue: la dieta a base di uova o
l’assurda gravidanza sono trovate per me da incorniciare e che da sole elevano
la già alta qualità del film.
E se, come vorrebbe la tradizione thai, i
dialoghi lasciano a desiderare, assestandosi su scambi di parole mai così
profondi come forse servirebbe, il taglio dei personaggi è talmente fino che
certa stupidità adolescenziale emerge con forza giustificando clamorosamente
qualche caduta più o meno involontaria. La facilità con cui Ice si lascia
sedurre, il rapporto tra Perth e la nuova ragazza o le occhiate che Tan rifila
all’amico sono tipici comportamenti giovani, sono leggerezza e superbia che
spurgano come il male che lentamente viene evidenziato.
Ed è quell’arroganza sciocca e schiumosa a
funzionare come benzina ideale per il tormento di Perth, il delirio che presto
gli frigge il cervello lo scaraventa in un incubo che Sukdapisit dirige
febbrile, dando quella confusione lenta e stanca tipica dei sogni eterni dovuti
alla febbre.
The
Swimmers regge bene le due ore di durata con numerosi scossoni,
alcuni un po’ imprecisi altri invece micidiali, colpiscono forte e lasciano un
segno che spero rimanga bene in evidenza e funga da modello per il futuro
horror del cinema thai.
questo me lo segno immediatamente!
RispondiEliminaNon avevo dubbi :)
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