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Recensione: Drood, di Dan Simmons

By Simone Corà | lunedì 18 ottobre 2010 | 13:00

Elliot Edizioni, 2010
818 pagine, 19 euro
ISBN 9788861921573

9 giugno 1856: durante in viaggio in treno in compagnia della sua giovane amante, Charles Dickens rimane coinvolto in un devastante incidente ferroviario. Barcollando tra i cadaveri, ferito e sanguinante, incontra uno strano personaggio, un uomo dai lineamenti sinistri e dalla voce sibilante: ha conosciuto Drood, e la sua vita, da questo momento, non sarà più la stessa. Deciso a investigare su questo misterioso figuro, Dickens, accompagnato dal suo miglior amico nonché eterno scrittore rivale Wilkie Collins, si avventura nella periferia di Londra, e da lì a Sotterra, una città edificata nelle fognature della capitale inglese, il regno di reietti, emarginati, oppiomani, dei quali Drood sembra essere il re. Ma chi è in realtà Drood? È un uomo? È un mostro? È un dio?

Illusione, paranoia, incubo. Ma anche rivalità, stima deviata, odio profondo, pura e semplice follia. Si muove su temi pericolosi, Dan Simmons, il rischio di cadere in vecchi tranelli e farsi trascinare da storie già scritte, personaggi già creati, deliri onirici già visti è alto – d’altronde lo è sempre quando si predilige quel labile confine tra realtà e fantasia, quell’incomprensibile scenario dove tutto sembra vero e falso allo stesso tempo. Simmons, però, dimostra subito una sicurezza narrativa stupefacente, una solidità che farebbe sbiancare non pochi suoi colleghi, e anche se, alla fine di queste incredibili, tortuose, eleganti, raffinate ottocento pagine, ci si rende conto che, per certi versi, ha scritto proprio una di quelle storie, usando proprio quei personaggi, sfruttando proprio quei deliri onirici, ci sono chilometri e chilometri e chilometri che lo separano da qualsiasi autore abbia mai osato avventurarsi in questi territori febbricitanti.

Drood è un gran romanzo, è uno di quei libri che, a lettura ultimata, non è ancora finito – ti resta dentro per molto tempo, non ti lascia, anzi, sedimenta, cresce. La straordinaria sensibilità narrativa di Simmons è pregio rarissimo e prezioso, al giorno d’oggi, e le sue parole non sono solo una pura lezione di scrittura, ma anche un impeccabile affresco storico, un resoconto psicologico sulla mente umana, un’indagine sugli sviluppi del dolore fisico e immaginario, un trattato sull’ipnotismo e sugli effetti che provoca.

Con uno stile ineccepibile, Simmons diventa Wilkie Collins, scrittore realmente esistito, e racconta in prima persona della forte amicizia con Dickens, della competitività narrativa sempre pronta ad affiorare, della sofferenza causata dalla gotta, del bisogno continuo di laudano per alleviare il dolore, della diffidenza, del sospetto, della paura verso Drood e del fascino maligno che questo personaggio sembra esercitare su Dickens. Impossibile definire più precisamente i mille, ricchissimi temi toccati (dal teatro alla scrittura, dai viaggi alla religione, dal cibo all’alta società inglese, dal lavoro editoriale all’amore), le porte aperte, gli incubi suggeriti, le atrocità mostrate, i tradimenti perpetuati, e ancora la mole di personaggi, un’infinità di comprimari che mai appaiono per caso o per futile autocompiacimento – Simmons controlla alla perfezione un intreccio sovrannaturale estremamente ambizioso e lo racconta in una non-linearizzazione spaventosa, suggestiva, affascinante, scavando nell’inconscio dei due autori inglesi e portando alla luce paranoie, orrori sepolti, debolezze, invidie, superbie.

Il timore di un’eccessiva lunghezza, quando è Simmons a essere preso sotto esame, è concreto e comprensibile, e Drood di certo non sfugge a qualche abbondanza di troppo, ma non priverei questo immenso romanzo di una singola parola (se non per qualche “uscire fuori” o “entrare dentro”, errori comunque dovuti a una traduzione che, al di là di questo, per una volta tanto è davvero, davvero eccellente).

Mi sembra di non aver detto nulla, che manchino ancora tanti argomenti da sviscerare, che siano parole vuote e inutili quelle che ho usato per cercare di descrivere il miglior romanzo horror del 2010 (come d’altronde lo era stato, nel 2008, La scomparsa dell’Erebus), e il consiglio, alla fine, l’unico che posso veramente dare, è di leggere, e fatelo, fidatevi, leggere, leggere, leggere Drood.

5 commenti:

  1. E' già da tempo nella mia wishlist, prima o poi verrà anche il suo turno.

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  2. mah...
    800 e passa pagine...
    cioè
    800 e passa pagine...
    maddai
    ...
    non ce la farò mai
    non ce la posso fare

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  3. Va là, che d'estate ce la fai, per i librozzi che meritano devi farcela. :)

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  4. mmmm... a te è piaciuto pure il coso dell'erebus che mi aveva sfiancato a morte... sei troppo di parte...

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  5. ho visto la tua bella recensione..se ti interessa ce n' e' una molto ricca su www.totanisognanti.blogspot.com...li' si aprla anche dell'erebus, di simmons...

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