The Shield

By Simone Corà | venerdì 9 aprile 2010 | 12:52

Pezzo lungo, più un dossier che una recensione, portate pazienza, non succederà spesso, ma la mia serie tv preferita aveva bisogno di tante, tante parole, peraltro tutt’altro che sufficienti, ma allora dovrei essere più bravo e studiare di più e mangiare le verdure e cose così, per essere sviscerata.

Creata da: Shawn Ryan
Stagioni: 7
Episodi: 10-15 cad
Durata: 42 minuti cad.

Il detective Vic Mackey è a capo di un’unità scelta chiamata Squadra d’Assalto, composta da poliziotti specializzati a stare a contatto con bande locali e disposti ad agire secondo le sue regole. Ma queste regole oltrepassano il labile confine tra legalità e illegalità, e tra rapine, estorsioni e omicidi, gli uomini di Vic sono i più cattivi e temuti, e allo stesso tempo i più carismatici, della stazione di polizia chiamata l’Ovile.

Ci sono voluti sette anni e altrettante stagioni per porre fine alle gesta tanto criminali quanto carismatiche di Vic Mackey e dei suoi complici. Sette stagioni per dare vita e, di volta in volta, confermare la qualità della serie che ritengo, senza mezzi termini e paragoni, e magari con un pizzico di azzardo, la miglior creazione televisiva di ogni tempo. Perché ci sono tanti e tali aspetti, in The Shield, risvolti, punti di giunzione e innovazioni (intreccio generale, gestione dei personaggi, filosofia deviata, regia adrenalinica), che diventa impossibile negare al papà Shawn Ryan tale onorificenza.

Gli universi di corruzione e scorrettezze che si rincorrono in questo lungo periodo di tempo hanno infatti reso la serie uno schiaffo in faccia verso un certo perbenismo patriottico che, all’epoca della sua nascita, perlomeno in tv, salvo qualche rara eccezione (HBO reigns, of course) era ancora ben nascosto e inattaccabile. E se il livello qualitativo delle serie tv è spaventosamente aumentato, negli ultimi anni, sia per abilità narrativa che direzione generale, senza contare il riconoscimento di pubblico e critica sempre maggiore, The Shield è sempre stato un passo avanti per coerenza criminale, per complessità strutturale, per meschinità caratteriale e per uno straordinario lavoro su ogni singolo personaggio che ha fatto e continuerà a fare la storia della tv.

La scelta di scombinare l’usuale lotta bene/male, preferendo un dualismo gesto nobile/zona d’ombra presente in tutti i personaggi (non si salvano nemmeno i comprimari dei comprimari, sempre pronti a mostrare un lato debole che porta, di volta in volta, a compatirli, odiarli, rimanerne delusi o soffrire con loro) è azzeccato e istintivamente il più indovinato per meglio rappresentare il traffico illegale nelle strade di Farmington.

Tale aspetto, come già accennato, costruisce personalità scolpite nella roccia e, nonostante prediliga le frequenti escursioni illegali di Vic (Michael Chiklis gli dona spalle e muscoli, diventando forse il più grande anti-eroe della televisione: disonesto, brutale, ladro, eppure indimenticabile nella sua caparbietà e nella sua personalissima lotta al crimine) e soci, riesce paradossalmente ad accrescere il loro fascino di malefatta in malefatta.

Ciò che piace di The Shield è la strutturazione a episodi semi autoconclusivi, che mantengono però una continuity solida come il cemento che, dopo le prime due stagioni che potrebbero venire tranquillamente paragonate a un film e al suo sequel, con la complicatissima faccenda della rapina alla mafia armena crea una concatenazione di eventi terribili, apocalittici e sempre, sempre, sempre più tristi, cupi, come se la strada imboccata fosse solo in discesa e, a ogni gesto, conseguisse un’inclinazione ancora maggiore.


Non c’è speranza di salvezza, né redenzione per le atrocità commesse dalla Squadra d’Assalto, ma soltanto una sofferenza continua e implacabile nel tentativo di alleggerire il carico di orrore che Vic e soci hanno continuamente alimentato.

Shawn Ryan e i suoi scagnozzi in fase di sceneggiatura elaborano vicende articolate, spesso sfaccettate da numerose sottotrame insolite e graffianti (i casi seguiti dal detective Wagonback, quasi sempre scollegati dalle indagini della Squadra d’Assalto), condite con dialoghi genuini, rapidi, ficcanti e terribilmente realistici.

Guida il tutto una regia frenetica e dinamica, a suo tempo innovativa nel distaccarsi dal concetto di classica direzione televisiva, per mezzo di inquadrature sbilenche e insolite e un costante movimento di camera, per non parlare del montaggio supersonico, che rende sempre frizzante la visione.

Splendide, poi, splendide e memorabili le interpretazioni di un cast stratosferico, dai volti mediamente noti di Michael Chiklis stesso e CCH Pounder (ai quali si aggiungeranno una Glenn Close di ferro e un immenso, bastardissimo Forrest Whitaker, il cui personaggio, nel testa a testa con Vic, farà volare The Shield verso vette televisive inarrivabili), alle facce meno conosciute di un Walton Coggins spaventoso nella sua follia (forse vero personaggio simbolo della serie) e di un Jay Karnes che, con il suo Dutch, dà vita un personaggio tanto goffo, impacciato e sentimentalmente disastroso, quanto perspicace e investigativamente imbattibile.

Si approva la scelta di soli dieci-quindici episodi a stagione al posto dei più tradizionali venti-ventiquattro: si ha una maggiore coesione narrativa e uno sviluppo credibile, naturale e attento, che non ha bisogno di risibili aggiustamenti di copione e annacquamenti vari per essere trascinato avanti (chi ha detto Prison Break?).

In un arco di tempo così alto (non sono poi molti i telefilm sostanziosi giunti orgogliosamente a sette anni di vita) era impresa difficile, se non impossibile, mantenere costante tale qualità (narrativa, registica, interpretativa) per quasi 100 episodi e oltre 4.000 minuti di girato, e infatti alcuni scossoni, o meglio, alcune ricadute impediscono una regolare meraviglia.

Parlo di un’eccessiva macchinosità nella terza serie, dove i tanti personaggi e i tanti eventi a volte si rincorrono e si calpestano, creando fastidiose punte di caos, anche dovute alla necessaria rapidità di narrazione (pur con certe concessioni – un paio di episodi oltre i 50 minuti e l’ultimo della durata di circa 90 – il minutaggio è sempre rimasto ancorato a 40 minuti scarsi), che non sempre permettono una felice comprensione dell’intreccio.

Oppure, complice anche il tremendo sciopero degli sceneggiatori, una sesta serie troppo breve e amara, nella quale succede sì di tutto ma senza il mordente degli episodi precedenti, e che viene pertanto trasformata, di fatto, per mancanza di quella sorta di spinta carismatica, in una lunga introduzione della settima, ultima, devastante stagione.

Complessivamente, si tratta di lacune più che giustificabili, che mai e poi mai intaccano il valore d'insieme di The Shield, perché le atmosfere cupe, il senso di disperazione, il tentativo di riscatto e l’inevitabile affossamento successivo sono elementi regolarmente mantenuti e riscontrabili in ogni sudatissimo secondo di pellicola.

Spiegare, sviscerare altri risvolti di The Shield diventa a questo punto difficile, soprattutto per chi scrive, troppo legato alla storia e ai personaggi e troppo poco bravo a trasformare i pensieri in parole, e sarebbe comunque inutile commentare questo o a quell’evento, dato che, dalla terza stagione in poi, per chi si fosse incuriosito e volesse avvicinarsi alla serie, sarebbe tutto un immenso, colossale spoiler (non si può assolutamente prevedere cosa succeda a Vic e compari man mano che la faccenda si complica, non-si-può).

Si resta così con gli occhi bruciati dalle ultime, tristi, aspre immagini di un episodio conclusivo a cui manca quella componente epica che era facile attendersi, ma che mostra invece una chiusura realistica, spiacevolmente credibile, e avendo The Shield puntato sempre e solo su tale attendibilità e verosimiglianza, non poteva esserci risoluzione del caso più adatta.

7 commenti:

  1. Uff, dopo essermi sparate tutte e 4 le serie di Dexter in un mese... vuoi farmi diventare monotematiche anche tutte le mie prossime serate?

    Va be', proviamo, almeno la prima serie, va! ^_^

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  2. Vista la prima puntata... non male. Ma ancora presto per giudicare... Prendo aria e mi tuffo ancora sotto! ^_^

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  3. Bravo.
    Poi dimmi, eh, che la prima serie spacca, ma il bello viene dopo, dalla terza in poi!

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  4. Bell'articolo! The Shield è la mia serie tv preferita.
    Confesso però che alcune cose del finale non mi sono particolarmente piaciute, poichè sono rimaste in sospeso(infatti appena ho finito di vedere la 7°stagione speravo in un film, ma non credo che lo facciano). Ad esempio il ragazzo serial killer che Dutch voleva incastrare, con l'indagine della scomparsa della madre del ragazzo rimasta in sospeso(alla fine anche Dutch era indagato). Oppure la storia di Julien, che negli ultimi episodi si può intuire ancora la sua omossessualità.
    Per quanto riguarda il resto del finale, che non sto qui a ricordare al fine di non spoilerarlo, è uno dei finali migliori possibili, anche se il più amaro.

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  5. Ciao Mauro, sì, sono daccordo con te, Julien, ma anche Danni, vengono totalmente lasciati in secondo piano nelle ultime serie, diventando poco più che personaggi di contorno quando, all'inizio, erano invece tra le figure principali.

    Su Ducth e il ragazzo, oddio, ora non ricordo benissimo, ma mi sembrava che la storia si fosse chiusa (il rapporto tra Dutch e la madre del rgazzetto che andava a rotoli) per poi dare un'apertura, secondo me giusta, sul futuro incerto del ragazzo. :)

    E sul finale... be', non ci sono parole. :)

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  6. CAPOLAVORO ASSOLUTO questa serie, ricordo che quando ormai 3 anni fa vidi l'episodio finale avevo le lacrime agli occhi, un po perchè dopo 7 stagioni si concludeva una delle mie serie preferite e un po per la tristezza di quell'ultima scena, il senso di desolazione e amarezza che si prova è veramente straziante.

    Una delle serie tv che rimarrà nella storia, Michael Chiklis attore da OSCAR

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