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The Color of Magic

By Simone Corà | venerdì 26 febbraio 2010 | 12:00

2008, UK, colore, 191 minuti
Regia: Vadim Jean
Sceneggiatura: Vadim Jean (basata sui romanzi originali di Terry Pratchett)

Scuotivento, il mago più imbranato di tutta l’Università Invisibile, incontra DueFiori, il primo, ingenuo turista del Mondo Disco. Dopo avergli fatto presente che girare ad Ankh-Morpork con un baule colmo di monete d’oro può essere un tantino pericoloso, ed essere scampato a un incendio, Scuotivendo fugge con DueFiori per l’intero Mondo Disco, combattendo, o meglio, scappando da draghi maestosi, troll colossali e furiose eroine.

Per la seconda, coraggiosa trasposizione delle odissee fantasy-comiche raccontate da Terry Pratchett nei suoi oltre trenta romanzi, Vadim Jean, già mente dietro a The Hogfather, prima incursione filmica nel Mondo Disco, aggiusta le coordinate e confeziona un prodotto estremamente godibile, nonostante le tonnellate di difetti tipici di un prodotto televisivo come questo, anche a chi non conosce l’irresistibile universo creato dallo scrittore inglese.

Poco importa che la scelta del romanzo, o meglio, dei romanzi, trattandosi dell’ancora acerbo dittico (Il colore della magia e La luce fantastica) con cui Pratchett ha dato vita al Mondo Disco e ai suoi eccentrici abitanti, non sia sicuramente la migliore né la più invitante: spogliata di tutta la ruggine narrativa, quell’ironia non immediata e a tratti forzata che solo con gli anni Pratchett è riuscito a smussare e a rendere spumeggiante, la trama di The Color of Magic, pur con i suoi saltuari momenti di confusione e una realizzazione tecnica altalenante, è vivace, colorata e ben gestita; inoltre, i personaggi e le gag comiche in cui si trovano catturati sono elementi portanti di un’opera spigliata e divertente, gustosamente da guardare nonostante il minutaggio non indifferente.

Passaggio difficile era il mantenimento di uno humor britannico efficace su carta ma che, su pellicola, rischiava di finire imprigionato in sporadici momenti comici o in un susseguirsi di battute d’effetto tipici di certi film di genere. Vadim Jean riesce invece a mantenere inalterato lo spirito ironico originale, scrivendo dialoghi brevi ma eccellenti, ricchi di un elegante quanto pungente sarcasmo, magari non immediato ma di grande, buffa fantasia.

Stralci come:

«Se un poeta notasse un narciso sbocciare, lo osserverebbe per poi scriverne un poema. Se invece lo vedesse DueFiori, andrebbe di corsa a comprare un manuale sulla flora per saperne di più e, mentre lo legge, calpesterebbe il narciso».

oppure, riferendosi alle tre cose che non dovrebbe mai mancare a un eroe leggendario:

«Acqua calda, un buon dentista e una soffice carta igienica».

sono solo grammi delle tonnellate di scherno tipicamente britannico di cui The Color of Magic è zeppo.

A dare ancora più valore ai dialoghi ci pensa il buon cast, una serie di volti e voci conosciute, tra le quali spiccano il sorriso diabolico di Tim Curry, l’esperienza di uno Sean Astin e l’eleganza delle corde vocali di Christopher Lee, che non poteva che doppiare la Morte in persona. Tra tutti, però, è doveroso citare lo splendido lavoro di David Jason, il cui Scuotivento, per balbettio, sguardi e movenze, risulta splendidamente identico alla sua controparte su carta.

Se sul piano narrativo il film offre moltissimo, è su quello visivo che i difetti si sormontano in maniera abbastanza evidente, rischiando talvolta di danneggiare le lunghe costruzioni comiche. Regia e montaggio sembrano infatti lavorare su progetti totalmente differenti, e non sono pochi i momenti in cui i tempi appaiono sballati, il ritmo viene sballottato da lento a iperveloce senza alcuna spiegazione, i tagli impediscono di capire appieno la scena o, durante le sequenze d’azione, cosa peggiore, l’azione stessa arriva ignobilmente in ritardo (quando Scuotivento cade dall’albero e il Bagaglio lo salva, giusto per fare il primo, lampante esempio, o le apparizioni di Morte).

Si tratta di difetti esagerati, grossolani, davvero ingiustificabili soprattutto pensando al budget consistente, che ha permesso la realizzazione di draghi e troll e mostri assortiti con una CG di buon livello.

Peccato quindi che la più che buona sceneggiatura sia in parte affossata da una resa visiva altalenante e poco convincente: si poteva e si doveva lavorare con più cura su questo aspetto, non per raggiungere chissà quali standard qualitativi, ma per garantire una fluidità che, spesso, viene purtroppo a mancare.

Tuttavia ciò non toglie un’impressione complessiva sufficiente, a tratti addirittura ottima, considerando pur sempre che si tratta di un prodotto televisivo: è d’uopo, a questo punto, sperare che per Going Postal, terza trasposizione prevista per il 2010, le potenzialità a disposizione vengano sfruttate fino all’ultima goccia.

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