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Taxidermia

By Simone Corà | lunedì 18 gennaio 2010 | 08:00

2006, Ungheria\Austria\Francia, colore, 91 minuti
Regia: György Pálfi
Sceneggiatura: György Pálfi

Tre generazioni familiari a confronto: da un militare frustrato e ossessionato dal sesso al figlio campione di gare di cibo e inventore di tecniche di vomito, per finire con l’introverso nipote, un tassidermista succube del padre e incapace di dare uno scossone alla sua vita.

Non serve un genere come l’horror, a volte, per mettere a dura prova la resistenza di occhi e stomaco, e Taxidermia, che con il terrore non ha poi molto a che fare, è un concentrato di poetiche devastazioni visive, difficili da assorbire, a volte tremende da digerire, ma deliziosamente appaganti sotto il notevole profilo artistico.

Pellicola ungherese di rara bellezza e armonia registica, l’opera di György Pálfi non punta esclusivamente sulle numerose componenti scioccanti, ma offre invece un intreccio ambizioso e alquanto insolito per progressione narrativa e uso dei personaggi, e una generale finezza visiva capace, piuttosto spesso, di stupire per intrepide soluzioni di camera (cosa succede nella vasca).

Tra commedia pungente ed erotismo deviato, diretto senza concedere nulla all’immaginazione, nel frammento iniziale Taxidermia offre i suoi elementi più divertiti ed eccentricamente sfiziosi (la già citata sequenza della vasca, le mansioni del soldato), capaci di far sorridere a patto di sopportare un certo disgusto (la lunga sequenza dell’uccisione del maiale per trasformarlo in salumi).

Una componente per certi versi allegra è sempre presente nell’opera, ed è riscontrabile sia nel secondo (il matrimonio) che nel terzo e conclusivo frammento (i continui sproloqui del padre obeso, la cassiera del supermercato), ma le atmosfere sono differenti, più cupe e pesanti, pregne di nauseabondi piani sequenza (la vasca del vomito e l’intervento chirurgico) che pigiano sul tasto di una traumatizzante messa in scena, tutt’altro che necessaria ma a suo modo lodevole per estro creativo e coraggio.

La circolarità narrativa di ferro è il punto di forza di una sceneggiatura priva di cedimenti, che brilla tanto nei momenti easy quanto in quelli saturi di superbo sfoggio tecnico, e che, raccontata con una OST minimale ma capace di esplodere con sonorità dissonanti estremamente efficaci, costruisce un’ossatura incrollabile.

Pellicola difficile, a tratti insostenibile, ma curata con esemplare maestria d’autore, che soddisfa pienamente. Impossibile da consigliare e must-see allo stesso tempo: tutto dipende dal vostro grado di sopportazione. L’unico suggerimento, da prendere davvero in considerazione, è di non mangiare né prima né durante la visione.

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