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L'Albero della Vita

By Simone Corà | martedì 18 novembre 2008 | 14:20

2007, USA, colore, 96 minuti
Regia: Darren Aronofsky
Sceneggiatura: Darren Aronofsky

Presente: Tommy, emotivamente disperato per la malattia che sta consumando sua moglie, cerca disperatamente una cura per salvarla. Ma il siero che riesce a sintetizzare, ricavato dalla corteccia di un albero dell’America Centrale, non sembra portare ai risultati sperati.
Passato: Tomas, un conquistadores della Spagna del ‘600, è in missione per conto della regina. Per mezzo di un pugnale che funge da mappa, deve trovare il leggendario Albero della vita.
Futuro: Tom, alla ricerca di un nirvana spirituale, ricorda il passato.
A collegare le tre epoche, un libro incompiuto:
The Fountain.

Tacciato di eccessiva astrattezza, incapacità di sintesi e di incomprensibile simbolismo, il lavoro di Aronofsky è stato ingiustamente lapidato per via di una carica visionaria e allucinata che, trovandosi al di là di certi livelli di cererebrocritica, la cricca vampirica degli imbrattacarte non è stata in grado di far propria.

Indigesto. Inutile. Impenetrabile.

Non che questo corrisponda al falso.
Gli ultimi venti minuti de L’albero della vita sono un trip di new age surreale, criptofilosofia e fantareligione, che fanno esplodere in colori sfavillanti un vortice di simbolismi irraggiungibili. Un corollario di effetti speciali che trascende la realtà raccontata e la frulla livellando, su un’ipotetico piano congiuntivo, tre epoche diverse: il passato, il presente e un delirante/allusivo futuro.

Dar retta alle immagini enigmatiche che prendono il sopravvento sulla concretezza diventa arduo, ma la delicata poesia che suggella i novanta minuti della pellicola rimane inalterata grazie anche a una splendida colonna sonora, che proprio nel caos finale sfoggia un crescendo sinfonico/emotivo di indiscussa bellezza.

Cos’è reale, cos’è finzione, cos’è il presente, cos’è il passato, cos’è il futuro.
Domande che ossessionano e arpionano la mente anche a visione conclusa. Collegare i punti, associare le figure, pretendere una progressione narrativa diventa un’estenuante ricerca a occhi chiusi, con il silenzio come unico suggeritore.
La strada che porta alla verità dell’estro di Aronofsky è nascosta in allusive chiavi di lettura che smarriscono ma affascinano a non finire. E siano maledetti ancora una volta gli stupratori che hanno italianizzato il titolo evirando il film di quello splendido The Fountain, che forniva un’ennesimo simbolo utile a scombussolare la mente.

Come il Lynch più ermetico ma meno disponbile agli oscuri deliri della mente, Aronofsky cattura per mezzo di inquadrature sbilenche e singolari, e, in un coinvincente gioco di taglia e cuci, collega sequenze lontane eppure vicinissime, distrugge la realtà e commuove con armoniosa attenzione visiva.
Dispiace quindi che, nell’esigere la perfezione, i dialoghi si lascino adagiare su uno strato di superificialità ordinaria che guasta la magnificienza visionaria della pellicola. Niente a cui sia impossibile sopravvivere, ma solo un neo peloso che a tratti, ma neanche tanto, infastidisce.

Film imponente, da assaporare con meticolosità. Ne vale la pena.

4 commenti:

  1. Eh sì, è pieno di cose oniriche e trip mentali, dovrebbe piacerti. :)

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  2. Di incredibile bellezza. Grande film per menti contorte ma che sanno capire.

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  3. Il Mistè mi avevi detti che apprezzavi questo film. Bravo, figliuolo.

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