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Vacancy

By Simone Corà | mercoledì 17 settembre 2008 | 01:31

2007, USA, colore, 80 minuti
Regia: Nimrod Antal
Sceneggiatura: Mark L. Smith
Cast: Kate Beckinshale, Luke Wilson, Frank Whaley, Ethan Embry

David e Amy sono una coppia in crisi, ormai sull’orlo del divorzio. Ritrovatisi bloccati in una strada isolata a causa di un guasto all’auto, decidono di passare la notte in un motel poco lontano. Mai scelta fu più sbagliata.

La prima cosa che ci si chiede è come sia possibile che, anche se only for fiction, la latex queen Kate Beckinshale sia sposata con un, ehm, bell’uomo come Luke Wilson. È una faccenda che provoca rabbia, invidia e necessità di sbattere la testa sui muri, ma per lo meno un po’ di benevola rifregerazione arriva qualche istante dopo, quando si scopre che il loro rapporto è in crisi, il divorzio è dietro l’angolo e la morte del loro figlio è un evento blablabla.
Se non si può certo parlare di inizio accattivante in quanto a stesura del soggetto, si nota una buona cura nel delineare personaggi sì stereotipati (lei frignona, fredda e incapace di dimenticare il lutto che ha distrutto il loro matrimonio; lui tenace e pronto a guardare al futuro) ma ben presentati, soprattutto sotto il profilo dialogico. Gli scambi di battute sono veloci e ben scritti, e si respira con curiosità un senso di disagio e di imbarazzo.

Poi il nulla.
Da quando David inserisce le vhs nel videoregistratore, Vacancy si muove senza verve, senza ritmo, senza passione, senza interesse, esibendo sin da subito la sua palese natura sadica-voyeuristica. In ottanta minuti scarsi non una sorpresa, un sobbalzo, un evento imprevisto. Si viene subito inglobati da un colossale senso di dejà-vù, che nega qualsiasi curiosità verso il proseguire della trama, che dal canto suo non offre appigli con cui trarre in salvo lo spettatore esigente.

E se il sangue, in un film in cui una coppietta è inseguita tutta la notte da sadici depravati, può anche essere coraggiosamente lasciato da parte, fattori fondamentali come senso di repulsione, disturbo e violenza implicita non devono essere dimenticati nelle retrovie.
Perché se i personaggi sono tanto noiosi da invocare un martello con cui pestarsi i testicoli (il meccanico, il gestore del motel, i tizi mascherati e, oh, che sorpresona quando si scopre chi è in verità uno di loro), Nimrod Antal non può far reggere l’intera pellicola su Amy e David che corrono, si nascondono, corrono, si nascondono, scappano dai topi, corrono, si nascondono e infine corrono, senza che via sia alcuna variazione di un tema che diventa irritante sin da subito.

Serviva più mordente per dipingere una storia che è malvagia e depravata soltanto in superficie, e che potrebbe spaventare giusto i bambini che fanno i castelli di sabbia. Profondità e carisma sono termini sconosciuti nel vocabolario dell’accoppiata Antal/Smith, e a nulla servono le prove discrete di una splendida Beckinshale (bellissima anche senza i canini e i vestiti di pelle aderenti) e di un bonario Luke Wilson.

La mediocrità fa affogare Vacancy dopo venti minuti, e un finale schifosamente happy è un salvagente di cemento armato, che si spera mostri quale sia la sorte giusta per film come questo.

4 commenti:

  1. Ma sai che a me ispirava, quasi al punto da comprarlo?
    Certo che ora ho proprio cambiato idea! Mi hai dato la descrizione del classico film che generalmente scanso a priori.
    Grazie per avermi fatto risparmiare dei soldi ;)

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  2. Anch'io pensavo che fosse quanto meno un film decente, ma davvero, zero psicologia, zero spessore, zero inventiva.

    Catastrofico.

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  3. Peccato! Di solito un film con la Beckinsale lo vedo volentieri, se non altro per soddisfare il mio lato maniaco, ma stavolta mi sa che passo!

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  4. Ma lei è comunque gnocca da ansimi incontrollati, eh, non spaventarti se il film è immondizia.
    Lei risplende sempre e comunque ;-)

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