FirstBorn (2016)

By Simone Corà | venerdì 13 gennaio 2017 | 00:01

Un film di possessioni. O forse di magie. O magari di mostri.                                                                                           

Da quando Neil Marshall, Tom Shankland e Paul Andrew Williams si sono allontanati del genere, i primi due per abbracciare la più rassicurante e probabilmente più remunerativa televisione, il terzo impegnato in progetti meno violenti e viscerali, mi sembra che all’horror inglese manchi una figura di spicco dietro cui inquadrarsi e inquadrare una scena tutto sommato vivace e interessante, anche se non del tutto a fuoco.
Tra i vari, forse solo Paul Hyett, grande effettista, alla redini di creature e trucchi dei migliori bestiari degli ultimi anni (The Descent e Attack the Block per dirne un paio, ma il suo zampino c’è bene o male in tutto l’horror inglese post 2000) pare aver intrapreso una direzione precisa soprattutto da quando ha affiancato il lavoro artistico con quello di autore (bello The Seasoning House, ottimo Howl), ed è sicuramente speranza notevole con i due film che ha in arrivo.
Ma la sua sola presenza, dato il curriculum che si porta appresso e che continua ad ampliare, è indice di interesse, e se FirstBorn merita un accenno e una qualche curiosità nonostante le basi molto classiche, buona parte è merito suo.

La storia non si discosta molto dalla gravidanza demoniaca che ci hanno propinato ormai in qualsiasi abbinamento possibile, abbiamo una coppia giovane e simpatica, un feto irrequieto che scatena disastri, e visioni infernali che accompagnano i genitori durante i nove mesi.
Novità? Non molte, gli eventi rispecchiano quello che ci si aspetta, personaggi e idee rispondono a schemi ben collaudati, ma va quanto meno lodato l’approccio, che è abbastanza diverso dal solito. Ci arriveremo fra poco.

Il bello di molti horror inglesi, quella finezza che spesso li distingue dall'horror americano, è la capacità di prendere situazioni intramontabili e renderle comunque gradevoli attraverso un bel lavoro sui protagonisti e sui dialoghi. Ci sono attenzioni e dettagli differenti, un calcolo molto personale di ritmo e ironia, una semplicità maggiore e in generale una proposta parecchio più vicina alla nostra quotidianità che a quella che ci viene presentata dal popolo yankee.  
Questo fa sì che, prima di tutto, il film di Nirpal Bhogal possa mostrarsi attraverso un’alchimia che funziona con pochi passaggi, fatta di sorrisi, battute e piccoli gesti che rendono normali e simpatici i due giovani innamorati, tanto che, pur intuendo quello che succederà nei minuti successivi, si rimane piacevolmente attratti dalla loro relazione e dal modo genuino di affrontare i problemi.
Quello che contraddistingue FirstBorn dalla marea di film simili risiede però proprio qui: non viene mai nascosto che la nascitura abbia il marchio del maligno, anzi, una volta nata la piccola viene istruita proprio per convivere con questo aspetto demoniaco della sua personalità. Bhogal spara quindi subito in faccia allo spettatore una mitologia fatta di riti, formule e filosofie, che convivono con mamma, papà e bambina. Scene deliziose come il mantra che deve ripetere la piccola con la candela, o i vari trucchi appresi con il prosieguo del film trasformano con un ingegno sottile adorabile quello che sembrava un film sulle possessioni in uno strano horror magico e occulto.


Purtroppo gli intenti non vengono sostenuti da una struttura visiva abbastanza forte, e se da una parte la narrazione rimane sempre solida, seppur negli schemi che vengono a innescarsi (difficoltà di accettazione verso la figlia, la perdita del controllo, l’orrore che prende il sopravvento), dall’altra Bhogal non riesce a centrare la raffigurazione di una creatura demoniaca in realtà molto gustosa. Perché se il mostro ha una figura parecchio affascinante, la scelta di farlo comparire per brevissimi frammenti furiosi porta più confusione e seccature che paura o un qualche senso di disagio.
Ed è un peccato, perché il demone avversario è una presenza concreta, un essere con una ripugnante bocca a ventosa che si muove e agisce come un predatore, annullando le tipiche apparizioni del genere e spostando ancora una volta il corso del film verso una sorta di monster movie.
Ma giocare tra i generi non è così facile, e quello che manca al regista e sceneggiatore è proprio la compattezza per dare risalto a ogni parte. Più si sposta dalle sembianze originali e più FirstBorn sembra sgretolarsi sotto i colpi di una direzione forse non così sicura, dimostrando che prima di avere ambizioni un filino più complesse bisognerebbe saper gestire le materie base. 

Sono lacune di una certa importanza, è vero, però va anche detto che non affossano un lavoro complessivo comunque gradevole e insolito. Insomma, ben venga un tentativo di rivoltare le carte anche se poi il risultato è un po’ sgangherato.

8 commenti:

  1. Mh, bè, quindi è da vedere. Grazie assai della rece :)

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  2. Mi è piaciuto. Avrei spinto di più sull'aspetto "magico", per gusti personali, ma funziona e non prende mai la via (abusata, noiosa, e sintomo di poca sostanza) dei rumori improvvisi per far paura. Tutt'altro che perfetto, ma ce ne fossero. L

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    1. Sì, anche a me sarebbe piaciuto un approfondimento della parte più occulta, c'erano spunti molto succulenti. Di contro, non mi è piaciuto che abbiano "sprecato" il mostro in questa maniera, sforbiciandolo a pezzettini e senza mai prenderlo bene in pieno.

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    2. Vero, anche se spesso per mostrare chiaramente il mostro si sacrificano credibilità e atmosfera. Soprattutto con un mostro di questo tipo, molto dettagliato. Per fare un esempio recente, in "I'm not a serial killer", che comunque mi è piaciuto molto, il mostro non è all'altezza del resto, in quel caso per palese mancanza di un budget decente. Oppure devi avere un intuizione vincente, tipo le texture piatte degli alieni di attack the block. L'esempio migliore di "uso del mostro"che mi viene in mente (a parte le megaproduzioni, tipo i film di Del Toro) è in The Host, ancora visivamente credibile a distanza di anni. Bong sovverte tutte le regole, lo mostra in pieno giorno, inquadrandolo anche da lontano, dopo pochi minuti dall'inizio. Capolavoro. Chissà che fine ha fatto l'idea di realizzarne un seguito... girava anche un filmato mi pare...
      L

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    3. Sui mostri sfondi con me una porta aperta. Io li adoro, e penso che il discorso sia leggermente diverso: non è tanto il tempo di esposizione del mostro, ma la capacità di gestirne la presenza.

      In I'm not a Serial Killer (che ho visto solo di recente, altrimenti li avrei di sicuro infilato nella top 10 passata), il mostro per me è perfetto, in quanto relegato nell'unico momento in cui era giusto farlo vedere (e non mi è dispiaciuto visivamente).
      Altri film dai budget poveri ma che hanno fatto ottimo uso dei mostri sono Howl, The Hallow e Stung, con le creature mostrate sin dai primi minuti e gestite con stile da vendere.

      Poi, certo, se i mostri sono poco curati, hanno un pessimo impatto, è inevitabile. Mentre The Host, boh, resta un mistero come abbia fatto a tirare fuori un capolavoro del genere dieci anni fa, quando le tecnologie non erano ancora così potenti. Una vera bomba.

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    4. Si sicuramente il mostro bisogna gestirlo bene. Quello di I'm not... è gestito bene (così come il resto del film) e il design ci sta. Il modello tridimensionale avrebbe avuto bisogno di qualche ora di lavoro in più, tutto qui, anche se è un difetto minore. Non ho visto Stung, rimedierò. Ah, nel segmento migliore di VHS2, quello della setta, il demone finale è stato fichissimo. ;) L

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    5. Sì, quel demone è davvero splendido, come anche tutta la parte che lo preannuncia, calibrata e gestita meravigliosamente. E recupera Stung, che è assai grazioso. :)

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