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The Mind's Eye (2015)

By Simone Corà | mercoledì 31 agosto 2016 | 00:01

È l’ora di far scoppiare teste!                                                                 

In un’ipotetica parentesi tra The Conjuring 2 e The Wailing, terribili esempi di comicità involontaria che mostrano come l’horror per il grande pubblico stia andando sempre più alla deriva da una parte all’altra del mondo, ho fatto un po’ fatica ad alimentare il blog, e ho preferito temporeggiare fino al rilascio della scorpacciata del nuovo Frighfest e della prossima tormenta halloweeniana.
Tra le poche sensatezze (un paio di squali di cui spero riuscirò a scrivere e mazzate nazipunk per le quali arriverò un poco tardi) pesco giusto questo The Mind’s Eye, che attendevo da parecchio visto le secchiate di viscere con aveva lanciato JoeBegos un paio d’anni fa con Almost Human. E allora via, togliamo il cartello ferie e tiriamo su la saracinesca del blog. 

Un bel gusto per l’orrore, quello di Begos, eh, lo sporca di sci-fi per farne un ibrido come solo gli anni Ottanta potevano procreare, ma il suo non è facile richiamo retrò come piace ultimamente, è qualcosa che nasce prima dello scoppio dell’amore per gli Eighties dilagato nella scena e che prosegue con una personalità ben definita, lontana dalle strizzate d’occhio e dall’ironia. Begos è serissimo, anche nell’usare gli effettacci sonori più beceri, non ci scherza su: per lui l’horror pare essersi fermato al 1990 o giù di lì. 
Ora, chiaro, Begos è uno fra i tanti, non è neanche il più bravo o il più riconoscibile, ma di sicuro è il meno scolastico, e se la sua scelta stilistica finisce impastata nella folla che adopera le stesse musiche, le stesse inquadrature, gli stessi tagli, la stessa effettistica, la sua direzione, per quanto ingenua e gonfia di difetti, pulsa bella forte e continuerà a farlo anche nei prossimi anni, quando la moda svanirà in favore di qualche altro tormentone a cura del prossimo Oren Peli o James Wan di turno.

C’era ieri e ci sarà domani, un po’ come Kaufman e la Troma, ma senza ironia e scorreggioni, per la gioia di, boh, Midian e qualcun altro, spero.

Tanto semplice era la trama di Almost Human, con un parassita alieno che vagabondava in cerca di gente a cui far scoppiare la testa, tanto è lineare quella di The Mind’s Eye, con un riferimento a Scanners che parla già da solo: guerre telecinetiche tra persone in grado di far scoppiare teste. Sì, a Begos piacciano le teste che esplodono, se non si fosse capito.
Ma se l’esordio funzionava sopprimendo le mancanze con la breve durata del film (appena settanta minuti), in questo ritorno sono fin troppo evidenti le difficoltà di Begos con i tempi: non ha novata minuti nelle gambe e già arrivare a 87 è una gran sudata. Una storia semplice ha spesso bisogno di un’esecuzione altrettanto semplice, soprattutto nei primi passi, eventualità che però espone gli errori anche alla vista meno allenata, e per una buona parentesi centrale è infatti impossibile non strabuzzare gli occhi di fronte a, ehm, chiamiamoli scivoloni.
Di ingenuità e cavolate se ne incontrano anche di peggiori, quando abbiamo a che fare con film dal budget misero e con attori cani, ma anche se in un’opera seconda sono brutti dettagli che non dovrebbero apparire, non disturbano così tanto, e alla fine si dimenticano presto di fronte all’unico, vero scopo della vita di Joe Begos: far scoppiare teste.


E non solo, folks. Vengono tagliate a metà, decapitate, schiacciate, compresse, bruciate e molto altro ancora, in una bella messinscena gore, abbondante e grumosa, ricca di fantasia nella creazione delle situazioni e sempre diversa.
Le battaglie telecinetiche sono dirette con guizzi brillanti, inquadrature, stacchi e movimenti suggeriscono bene la fatica nel muovere gli oggetti e la velocità con cui colpiscono, offrendo degli scontri particolareggiati e vivaci, seppur il campo sia un po’ quello di un duello ultrasanguinoso tra jedi senza spada laser. Ma è un bel macello e va goduto appieno, e anche se non avrà lo stesso riscontro e l’eco dei massacri nostalgici di Turbo Kid, è lo stesso valido e gustoso.
Non c’è molto altro, è chiaro che i fondi sono stati spremuti per gli effetti (notevoli), lasciando il resto un po’ all’improvvisazione e al come viene viene, ma lo spirito glaciale di certo modo di fare cinema è catturato in pieno, e nella tavolozza di colori scuri spiccano ovviamente i blu, i rossi e i viola (oltre alla scelta vincente dello scenario innevato) che contribuiscono all’effetto retrò (oltre agli immancabili sintetizzatori) pur senza snaturare la modernità del film.

Piace infine che Larry Fessenden metta lo zampino anche qui recitando una particina, il suo apporto è sempre gradito per la naturalezza trasmessa, e beccarlo in queste piccole produzioni è ormai garanzia. 
Che non è “di qualità”, attenzione, perché la qualità che si può ed è giusto cercare anche nell’horror di piccolo taglio è ben altra cosa, ma l’orrore è anche questo e in ogni sua lacuna va comunque apprezzato e lodato, perché in fondo è da qui che si parte per fare grandi cose. Mettiamolo lì, in mezzo alle meraviglie economiche di Turbo Kid e al nuovo standard maximo disegnato da Stranger Things: The Mind’s Eye non ha né il cuore caldissimo del primo né la colata di straordinaria professionalità del secondo, ma ha un suo perché, e tanto basta.

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