Victor Garcia ci spiega perché le bambine imprigionate in una
cella non vanno salvate. Mai.
I misteri del download mi hanno
immagazzinato nell’hard disk in breve tempo tre film dai concetti molto simili,
Honeymoon, Beneath e questo Gallows Hill, pellicole che, ognuna motivata e spinta da capacità e tecniche
parecchio differenti, si scontrano con argomenti madre della scena horror e ne
escono con una dignità da non sottovalutare. È abbastanza chiaro come due terzi
delle produzioni, nel maelstrom primordiale da dove tutto prende origine, non
possano disporre di mezzi o anche solo esperienza per risaltare in una scena
sovraffollata, diventa quindi in qualche maniera obbligatorio passare per vie
già battute e ben esplorate, percorso tanto impervio quanto fondamentale per
scoraggiare i più lenti e favorire chi ha lo spirito giusto per proseguire.
E Victor Garcia, nonostante pare abbia
strisciato o si sia aggrappato sulle spalle di qualcun altro fino a questo
momento (difficile altrimenti dare un qualche motivo, che so, all’esistenza dell’Hellraiser numero 9), si
ritrova bello motivato grazie a una sceneggiatura di Richard D’Ovidio, che
poggia i piedi in una storia altrove ben collaudata ma con un paio di guizzi
vincenti, per dire la propria e farsi ricordare.
Siamo sempre dalle parti di possessioni
spiritiche, demoni evocati forse per errore che occupano un corpo fino a quando
non se ne presenta uno migliore, con uno start raimiano nella gabbia-botola
dove è rinchiuso l’evil one mentre attende il fatidico salvatore: in apparenza
il solito, solito schema di sopravvivenza spietata, con un pugno di personaggi
costretti a farsi la guerra l’un l’altro mentre sperano che il demone non
scelga proprio loro come ospite successivo, ma è proprio qui che D’Ovidio
sfoggia quel minimo di carattere per sostenere la sua creatura, e Garcia è
bravo a camuffare tale scelta e rivelarla al momento giusto, quando la partita
è ormai avviata e si sta sudando e sanguinando in gran quantità.
Poco interessanti i protagonisti, niente
più che una scelta casuale dal generatore automatico di caratteri, ancora meno
lo sono delle dinamiche stantie nel portare i nostri eroi ad affrontare il
Male, è tutto così old school che è secondario parlare di questa famiglia
disastrata che capita in Colombia e libera una ragazzina senza conoscerne le
sue fattezze demoniache, eppure tutto trova nuovo colore quando il meccanismo
viene attivato e svelato, la carneficina cambia faccia e si becca una grande
iniezione di adrenalina.
Non basta uccidere l’ospite per fermare la
divinità, chi lo ammazza diventa automaticamente la prossima vittima: il trucco
è semplice ma devastante, ne nascono argomentazioni più profonde del previsto
nell’innescare riflessioni sul sacrificio e sull’eroismo, sugli errori
involontari e sull’egoismo, oltre a garantire un bel divertimento nelle
indecisioni con cui i protagonisti affrontano il demone e nelle impossibili e
inefficaci strategie che devono adottare.
Pur con un’evidente base televisiva,
dovuta più che altro a una fosca fotografia, Garcia filma con quelle piccole intuizioni
che vitalizzano laddove c’era il rischio di schiacciare i buoni spunti: brevi
piano sequenza, momenti di fisso nervosismo, squarci di inquietudine nel
liberare un Male sornione e ambiguo. Si seguono schemi prestabiliti e infatti
il finale è l’unica eventualità ipotizzabile, ma va bene lo stesso, Garcia e
D’Ovidio hanno già fatto abbastanza e un ulteriore rischio è evidentemente
chiedere troppo a un b-movie che poteva conquistarsi giusto una mezza stellina
tra un insulto e l’altro su imdb e che invece merita un giusto rispetto e una
bella visione.
Mmmm.... ad esser sincero non mi ispira molto,
RispondiEliminaBe', non è che sia poi questa visione fondamentale, ma quelle 2-3 cose positive mi sono piaciute non poco :)
EliminaMi ispira poco ma me lo guardo lo stesso, poi ti vengo a dire che ne penso
RispondiEliminaSì ecco però adesso mi metti in agitazione ;-)
Elimina