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Gallows Hill (2013)

By Simone Corà | martedì 11 novembre 2014 | 00:05

Victor Garcia ci spiega perché le bambine imprigionate in una cella non vanno salvate. Mai.               

I misteri del download mi hanno immagazzinato nell’hard disk in breve tempo tre film dai concetti molto simili, Honeymoon, Beneath e questo Gallows Hill, pellicole che, ognuna motivata e spinta da capacità e tecniche parecchio differenti, si scontrano con argomenti madre della scena horror e ne escono con una dignità da non sottovalutare. È abbastanza chiaro come due terzi delle produzioni, nel maelstrom primordiale da dove tutto prende origine, non possano disporre di mezzi o anche solo esperienza per risaltare in una scena sovraffollata, diventa quindi in qualche maniera obbligatorio passare per vie già battute e ben esplorate, percorso tanto impervio quanto fondamentale per scoraggiare i più lenti e favorire chi ha lo spirito giusto per proseguire.
E Victor Garcia, nonostante pare abbia strisciato o si sia aggrappato sulle spalle di qualcun altro fino a questo momento (difficile altrimenti dare un qualche motivo, che so, all’esistenza dell’Hellraiser numero 9), si ritrova bello motivato grazie a una sceneggiatura di Richard D’Ovidio, che poggia i piedi in una storia altrove ben collaudata ma con un paio di guizzi vincenti, per dire la propria e farsi ricordare.

Siamo sempre dalle parti di possessioni spiritiche, demoni evocati forse per errore che occupano un corpo fino a quando non se ne presenta uno migliore, con uno start raimiano nella gabbia-botola dove è rinchiuso l’evil one mentre attende il fatidico salvatore: in apparenza il solito, solito schema di sopravvivenza spietata, con un pugno di personaggi costretti a farsi la guerra l’un l’altro mentre sperano che il demone non scelga proprio loro come ospite successivo, ma è proprio qui che D’Ovidio sfoggia quel minimo di carattere per sostenere la sua creatura, e Garcia è bravo a camuffare tale scelta e rivelarla al momento giusto, quando la partita è ormai avviata e si sta sudando e sanguinando in gran quantità.
Poco interessanti i protagonisti, niente più che una scelta casuale dal generatore automatico di caratteri, ancora meno lo sono delle dinamiche stantie nel portare i nostri eroi ad affrontare il Male, è tutto così old school che è secondario parlare di questa famiglia disastrata che capita in Colombia e libera una ragazzina senza conoscerne le sue fattezze demoniache, eppure tutto trova nuovo colore quando il meccanismo viene attivato e svelato, la carneficina cambia faccia e si becca una grande iniezione di adrenalina.


Non basta uccidere l’ospite per fermare la divinità, chi lo ammazza diventa automaticamente la prossima vittima: il trucco è semplice ma devastante, ne nascono argomentazioni più profonde del previsto nell’innescare riflessioni sul sacrificio e sull’eroismo, sugli errori involontari e sull’egoismo, oltre a garantire un bel divertimento nelle indecisioni con cui i protagonisti affrontano il demone e nelle impossibili e inefficaci strategie che devono adottare.

Pur con un’evidente base televisiva, dovuta più che altro a una fosca fotografia, Garcia filma con quelle piccole intuizioni che vitalizzano laddove c’era il rischio di schiacciare i buoni spunti: brevi piano sequenza, momenti di fisso nervosismo, squarci di inquietudine nel liberare un Male sornione e ambiguo. Si seguono schemi prestabiliti e infatti il finale è l’unica eventualità ipotizzabile, ma va bene lo stesso, Garcia e D’Ovidio hanno già fatto abbastanza e un ulteriore rischio è evidentemente chiedere troppo a un b-movie che poteva conquistarsi giusto una mezza stellina tra un insulto e l’altro su imdb e che invece merita un giusto rispetto e una bella visione. 

4 commenti:

  1. Mmmm.... ad esser sincero non mi ispira molto,

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    1. Be', non è che sia poi questa visione fondamentale, ma quelle 2-3 cose positive mi sono piaciute non poco :)

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  2. Mi ispira poco ma me lo guardo lo stesso, poi ti vengo a dire che ne penso

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