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Sukiyaki Western Django

By Simone Corà | lunedì 10 agosto 2009 | 13:37

2007, Giappone, colore, 120 minuti
Regia: Takashi Miike
Sceneggiatura: Takashi Miike, Masa Nakamura

Un pistolero senza nome giunge in un paesino pressato, da anni, da una lotta tra due fazioni, i Bianchi e i Rossi, entrambe decise a impossessarsi di un tesoro sepolto lì vicino.
Indeciso da che parte schierarsi, il pistolero fa la conoscenza di una donna misteriosa e di un bambino, che lo convincono a rimandare la decisione, in modo da scoprire prima quale sia la vera storia di sangue che ha portato alla nascita della faida.


Ambientato in un ipotetico quanto fantasioso far west nipponico, dove tradizioni orientali e occidentali si fondono creando un ibrido sicuramente insolito, Sukiyaki Western Django è l’ennesima pazzia di un regista che non si è mai posto limiti e che ha sempre messo prima di tutto, oltre a una tecnica stratosferica, un estro eccentrico e assolutamente fuori di testa.

Basterebbero i cinque minuti di prologo per rendersi conto della genialità di un regista che, in poco più di vent’anni di carriera, ha già totalizzato quasi un centinaio di pellicole nel curriculum.
Fondali bidimensionali con tanto di montagna e sole che sembrano disegnati da un bambino, fotografia scurissima e calda, un pistolero (interpretato da Quentin Tarantino, special guest del film) che parla recitando poesie, un’atmosfera che mescola pulp, comicità e western all’italiana (chiaro l’omaggio fin dal titolo), e una sparatoria con tanto di sangue che imbratta il cielo dipinto nei fondali e vi resta impresso come se si trattasse di schizzo di tempera.

Non basta?
Posso solo anticipare che ci sarà spazio per duelli tra pistole e katane che tagliano a metà le pallottole, dinamite e mitragliatori Vulcan, proiettili che scavano crateri nei corpi delle vittime, sceriffi immortali, sciamani che uccidono con croci di legno gigantesche e molto altro ancora.
Non ci sono barriere che contengano la fantasia del filmaker nipponico, tanto che anche la scelta azzardata di utilizzare una tonnellata di suoni cartooneschi per sottolineare certi gesti (palpebre che sbattono, movimenti improvvisi, scivoloni e mille altre parentesi buffe per dare il via a sequenze interminabili di ‘boing!’, ‘swing!’ e compagnia bella) appare non solo indovinata, ma addirittura necessaria per tenere in piedi personaggi e caratterizzazioni follemente sopra le righe.

Quindi non ci si stupirà troppo per corpi che incassano decine di colpi senza fare una piega, né per alcune posizioni antigravitazionali che assumono per sparare, e quindi per una certa esagerazione (spesso volutamente ridicola, come nei molti momenti ironici) che piace per la stravaganza e che, per fortuna, permette di sopperire a qualche lungaggine di troppo, che porta ombre di noia laddove serviva velocità e azione.

Il problema di Sukiyaki Western Django risiede proprio in episodi fin troppo lenti, che spezzano il ritmo folle e indiavolato della pellicola. Se Miike avesse asciugato il film, togliendo quei 20 minuti di sbadigli (ricontrabili anche in momenti di eccessiva drammaticità quando i personaggi impiegano minuti e minuti prima di spirare, anche se sono crivellati di colpi, perché devono dire un’ultima frase, o fare un ultimo sorriso), il lavoro complessivo ne avrebbe giovato, e molto.

Resta quindi il dispiacere di un film in costume colorito e vivace, un pulp-western dagli occhi a mandorla che avrebbe potuto stregare chiunque (il fatto che sia recitato in inglese la dice lunga sugli scopi planetari di Miike), ma che invece zoppica, qua e là, per via di troppe lentezze e titubanze.

Piacevole, e sicuramente da vedere, ma poteva essere molto di più.

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